novembre 23, 2021

La LETTURA come ESPERIENZA di vita

Fino ad ora abbiamo parlato di LETTORE. Adesso parliamo di LETTURA. Ma non tanto dell'atto del leggere, quanto delle conseguenze del leggere. Cosa "smuove" dentro di noi la lettura di un romanzo e cosa "resta" di ciò che si è letto? Inoltre, questa esperienza del leggere cambia in modo significativo nel corso della vita? Che differenza c'è fra la prima, frettolosa, e la seconda più meditata lettura di un romanzo? E quanto spesso capita di affrontare una seconda lettura?




Va da sè che una persona può rispondere a questa domanda solo per quanto attiene a se stesso. Per cui giriamo le domande ai nostri lettori. Il campione è molto limitato. Ma qualcosa può saltare fuori lo stesso.

In attesa di conoscere le risposte dei lettori, ecco per sommi capi la nostra esperienza personale.


Da ragazzo leggevo quello che mi regalavano i "grandi": Salgari, Verne, W. Scotti fratelli Grimm. Letture per ragazzi, nelle belle edizioni cartonate che proponeva l'editore Ugo Mursia. Ero un lettore avido. Una cosa è certa: la lettura di un romanzo mi coinvolgeva molto di più della lettura di un fumetto o della visione di un programma televisivo. Personaggi come Ivanhoe, Il corsaro nero provocavano viaggi psichedelici.  In quel modo esercitavo la mia immaginazione. Solo il cinema sul grande schermo aveva su di me una presa altrettanto potente. Ma la storia del rapporto fra ragazzi e cinema è stata già ampiamente raccontata. 




Crescendo ho smesso di leggere. La scuola non incoraggiava la lettura extra curricolare. Anzi, non incoraggiava per niente la lettura, perchè gli Autori si studiavano sul manuale e solo Omero (scuola media), Manzoni e Virgilio (ginnasio), Dante (liceo) prevedevano una lettura "integrale". Ma si trattava di una lettura-studio, di quelle su cui ti interrogavano. Non era certo l'ideale. 

In terza liceo, non si sa perché, mi è tornata la voglia di leggere e di mia iniziativa ho iniziato un ciclo di letture appassionanti, che hanno spaziato da Dostoevsky a Maupassant a Victor Hugo. Erano tutti autori che trovavo nella biblioteca di casa. Probabilmente mi hanno aiutato in certi delicati frangenti adolescenziali. Erano dei "maestri", degli amici più grandi. Poi più niente letture per anni, se non i gialli Mondadori e gli Urania. Quando volevo rilassarmi leggevo sdraiato sul letto e fumavo. Credo di essermi instupidito. 

Finalmente sui quarantanni ho iniziato un secondo ciclo di letture appassionanti. Non nascondo il fatto che questa nuova ondata di letture ha coinciso con una grossa crisi sentimentale. Sicuramente cercavo nei romanzi una consolazione o una distrazione.

Leggevo Céline, Kafka, Musil, T. Mann, Virginia Woolf, Canetti, Camus ma anche i poemi cavallereschi, come l'Orlando furioso. Letture "alte", questa volta. Suggerite probabilmente dalla constatazione che negli ultimi tempi mi ero imbarbaritoCome lettore ero maturato. Leggevo meno voracemente, ma anche meno distrattamente. Prendevo appunti. Mi soffermavo su un autore, adottavo persino il suo stile. Céline in particolare mi ha contagiato. Per mesi ho scritto come lui. Da ciascuno di questi grandi autori attingevo spunti per vivere malgrado il mio contingente fallimento amoroso. Il giovane Hans Castorp della Montagna incantata, ma anche Peepekorn il fantasioso megalomane e il protagonista del Cavaliere d'industria Felix Krull mi hanno indicato dei sentieri nuovi da percorrere. Ho pianto sullo sventurato nano e gobbo Fischerle di Auto da fè. Mi sono spazientito per le penose esperienze dell'agrimensore del Castello di Kafka. Insomma, posso dire che in quel periodo la lettura è stata la classica scialuppa di salvataggio. 


il gobbo Fincherle poco prima di essere ucciso


Poi sono passato a letture più "mirate", dato che nel frattempo avevo cominciato a frequentare i critici. Non ricordo come sia avvenuto questo salto di qualità. E chi abbia propiziato il mio avvicinamento alla saggistica letteraria. Forse un libro trovato per caso in libreria. C'è da dire che all'Università avevo seguito il corso di critica letteraria di Mario Fubini. Quell'anno il corso riguardava la critica stilistica. Leo Spitzer in primis. Una rivelazione. Ma dopo quell'esame, che avevo dovuto rifare perchè Fubini mi aveva preso in castagna su una questione di metrica, più niente per almeno trent'anni.

Forse la molla è stata il fatto di essermi messo a scrivere in modo meno occasionale. Probabilmente nei critici cercavo la rivelazione di qualche "segreto" del mestiere. A tormentarmi in que lperiodo era il fatto di non comprendere la ragion d'essere del "postmoderno" (e sul versante filosofico quella dello strutturalismo). Neanche Luperini, che dal postmoderno era ossessionato, mi ha aiutato in questa ricerca. Foucault al contrario mi ha aiutato a capire, non lo strutturalismo, ma la "cura di sè" (mi riferisco alle sue mirabili lezioni sulla filosofia greca dell'ellenismo al Collegio di Francia).
Epperò la frequentazione dei critici mi ha orientato verso un rapporto più professionale nei confronti della lettura. Basta con le letture occasionali, con i grandi assalti di entusiasmo. Al loro posto letture mirate. Un tassello dietro l'altro.
In questo modo, senza essere diventato un esperto, ho cominciato a diventare un lettore colto.




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