novembre 22, 2021

Il lettore comune, questo sconosciuto

Torniamo sul tema del LETTORE. E' un tema che ci sta particolarmente a cuore, perché i romanzi dello scrivente incontrano il più delle volte delle disconferme. A dirla spiccia, i lettori o non ce la fanno a finire il romanzo oppure dichiarano di essersi persi, di non aver capito molti passaggi.


A nostra consolazione va detto che questi lettori sono gli stessi che "mollano il colpo" davanti ad autori ultra classici, come Virginia Woolf. E non la Woolf delle Onde, ma quella di Gita al faro. Sono lettori "viziati" da una certa letteratura di consumo, che propone trame lineari e un linguaggio semplice. Potremmo definirla una letteratura del microquotidiano (questo è senz'altro il caso di Banana Yoshimoto) o del dramma individuale (una malattia, una tragedia familiare, un rapporto in crisi). Va da sè che un'autrice attenta all'intimità  minuto per minuto dei suoi personaggi, come Virginia Woolf, disorienta, anche per la sua inclinazione ad ascoltare e registrare il "rumore" interiore di più personaggi contemporaneamente (si veda l'attacco della Signora Dalloway). 

Scavando nella biografia di questi lettori si scoprono alcune cose interessanti. Intanto non hanno compiuto un corso di studi orientato verso le "belle lettere", come si chiamavano una volta. Quindi non hanno preso confidenza con lo scenario, come potremmo definire lo snodarsi nel tempo della "cosa letteraria". Non hanno quelle  convenzionali coordinate che possiede chi ha studiato in modo tradizionale la storia della letteratura (come la storia della filosofia o la storia dell'arte). Dove per "tradizionale" si intende il modello scolastico consacrato da Giovanni Gentile. 

Altro handicap (usiamo questo termine in modo bonario): non hanno fatto il passaggio da una conoscenza scolastica di "primo grado" ad una conoscenza scolastica di "secondo grado". Ci riferiamo a quella stimolante discontinuità che si creava quando lo studente, promosso alla maturità, passava dallo studio liceale allo studio universitario, che era caratterizzato dall'approfondimento monografico e dal ricorso alla "critica" (critica delle fonti, comparazione critica dei diversi approcci etc.). Niente a che fare con la tranquillizzante sequela di dati certi che era lo studio del manuale scolastico.

Se al liceo si studiava sostanzialmente la biografia del Tasso, all'Università si analizzava la sua opera, utilizzando un approccio che veniva dichiarato (e questa era la principale novità): approccio stilistico (nel caso per esempio di Fubini), approccio sociologico, approccio storicistico, come nel caso di Sapegno etc. Questa discontinuità consentiva di aggiungere alla sommaria idea dello scenario ottenuta dallo studio scolastico licealeuna seppur vaga idea di in che cosa potesse consistere la navigazione critica nella cosa letteraria. 

Orbene, si può dire con un certo margine di approssimazione  che il lettore comune non ha mai compiuto nè il primo nè il secondo passo di questo tirocinio.



 Ma allora, in cosa consiste il modo di leggere del lettore comune? E da cosa nasce la sua "voglia" di leggere?

E perchè il lettore comune orienta il più delle volte le sue preferenze verso testi rassicuranti, nei quali raramente capita di incappare negli "ostacoli" che gli autori con la A maiuscola dispensano a piene mani nei loro testi: una lingua lontana dal parlato quotidiano, una direzione di marcia segmentata (si pensi a certi salti temporali, come in Arance rosso sangue di John Hawks o ne Le correzioni di Jonathan Franzen), una predilezione per il discorso interiore, l'assenza di "eroi" e di trame avventurose, l'ibridazione dell'intreccio, che si apre spesso a divagazioni saggistiche (es. 2666 di Bolagno o Austerlitz di Sebald)?




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