novembre 25, 2021

La MIA LISTA




Il New York Times ha pubblicato la sua lista dei 25 big della letteratura. Per noi l'ha ripubblicata il Corriere della sera. La cosa mi ha fatto venir la voglia di pubblicare la MIA, di lista. Non ha un valore "oggettivo", come pretenderebbe di avere quella del N.Y.T. (su che base, poi?). Ha invece un grande valore soggettivo. Ci sono autori notissimi e autori meno noti e soprattutto mancano autori di grande levatura, che nella mia esistenza di lettore non hanno rivestito una particolare importanza.

Non è una graduatoria di merito e non è in ordine alfabetico.


-THOMAS MANN (La Montagna incantata)

-BRUNO SCHULZ (Le botteghe color cannella)

-ELIAS CANETTI (Auto da fé)

-VLADIMIR NABOCOV (Lolita)

-VIRGINIA WOOLF (Le onde)

-ITALO SVEVO (Senilità)

-GUIDO MORSELLI (Il comunista)

-LOUIS-FERDINAND CELINE (Morte a credito)

-LUDOVICO ARIOSTO, (l'Orlando Furioso)

-DANTE ALIGHIERI (L'Inferno)

-NICCOLO' MACHIAVELLI (Il Principe)

-ROBERTO BOLAGNO, (2666)

-LAURENCE STERNE (Vita e opinioni di Tristram Shandy)

-WILLIAM VOLLMANN (Europe Central)

-JOHN HAWKES (Arance rosso fuoco)







novembre 23, 2021

La LETTURA come ESPERIENZA di vita

Fino ad ora abbiamo parlato di LETTORE. Adesso parliamo di LETTURA. Ma non tanto dell'atto del leggere, quanto delle conseguenze del leggere. Cosa "smuove" dentro di noi la lettura di un romanzo e cosa "resta" di ciò che si è letto? Inoltre, questa esperienza del leggere cambia in modo significativo nel corso della vita? Che differenza c'è fra la prima, frettolosa, e la seconda più meditata lettura di un romanzo? E quanto spesso capita di affrontare una seconda lettura?




Va da sè che una persona può rispondere a questa domanda solo per quanto attiene a se stesso. Per cui giriamo le domande ai nostri lettori. Il campione è molto limitato. Ma qualcosa può saltare fuori lo stesso.

In attesa di conoscere le risposte dei lettori, ecco per sommi capi la nostra esperienza personale.


Da ragazzo leggevo quello che mi regalavano i "grandi": Salgari, Verne, W. Scotti fratelli Grimm. Letture per ragazzi, nelle belle edizioni cartonate che proponeva l'editore Ugo Mursia. Ero un lettore avido. Una cosa è certa: la lettura di un romanzo mi coinvolgeva molto di più della lettura di un fumetto o della visione di un programma televisivo. Personaggi come Ivanhoe, Il corsaro nero provocavano viaggi psichedelici.  In quel modo esercitavo la mia immaginazione. Solo il cinema sul grande schermo aveva su di me una presa altrettanto potente. Ma la storia del rapporto fra ragazzi e cinema è stata già ampiamente raccontata. 




Crescendo ho smesso di leggere. La scuola non incoraggiava la lettura extra curricolare. Anzi, non incoraggiava per niente la lettura, perchè gli Autori si studiavano sul manuale e solo Omero (scuola media), Manzoni e Virgilio (ginnasio), Dante (liceo) prevedevano una lettura "integrale". Ma si trattava di una lettura-studio, di quelle su cui ti interrogavano. Non era certo l'ideale. 

In terza liceo, non si sa perché, mi è tornata la voglia di leggere e di mia iniziativa ho iniziato un ciclo di letture appassionanti, che hanno spaziato da Dostoevsky a Maupassant a Victor Hugo. Erano tutti autori che trovavo nella biblioteca di casa. Probabilmente mi hanno aiutato in certi delicati frangenti adolescenziali. Erano dei "maestri", degli amici più grandi. Poi più niente letture per anni, se non i gialli Mondadori e gli Urania. Quando volevo rilassarmi leggevo sdraiato sul letto e fumavo. Credo di essermi instupidito. 

Finalmente sui quarantanni ho iniziato un secondo ciclo di letture appassionanti. Non nascondo il fatto che questa nuova ondata di letture ha coinciso con una grossa crisi sentimentale. Sicuramente cercavo nei romanzi una consolazione o una distrazione.

Leggevo Céline, Kafka, Musil, T. Mann, Virginia Woolf, Canetti, Camus ma anche i poemi cavallereschi, come l'Orlando furioso. Letture "alte", questa volta. Suggerite probabilmente dalla constatazione che negli ultimi tempi mi ero imbarbaritoCome lettore ero maturato. Leggevo meno voracemente, ma anche meno distrattamente. Prendevo appunti. Mi soffermavo su un autore, adottavo persino il suo stile. Céline in particolare mi ha contagiato. Per mesi ho scritto come lui. Da ciascuno di questi grandi autori attingevo spunti per vivere malgrado il mio contingente fallimento amoroso. Il giovane Hans Castorp della Montagna incantata, ma anche Peepekorn il fantasioso megalomane e il protagonista del Cavaliere d'industria Felix Krull mi hanno indicato dei sentieri nuovi da percorrere. Ho pianto sullo sventurato nano e gobbo Fischerle di Auto da fè. Mi sono spazientito per le penose esperienze dell'agrimensore del Castello di Kafka. Insomma, posso dire che in quel periodo la lettura è stata la classica scialuppa di salvataggio. 


il gobbo Fincherle poco prima di essere ucciso


Poi sono passato a letture più "mirate", dato che nel frattempo avevo cominciato a frequentare i critici. Non ricordo come sia avvenuto questo salto di qualità. E chi abbia propiziato il mio avvicinamento alla saggistica letteraria. Forse un libro trovato per caso in libreria. C'è da dire che all'Università avevo seguito il corso di critica letteraria di Mario Fubini. Quell'anno il corso riguardava la critica stilistica. Leo Spitzer in primis. Una rivelazione. Ma dopo quell'esame, che avevo dovuto rifare perchè Fubini mi aveva preso in castagna su una questione di metrica, più niente per almeno trent'anni.

Forse la molla è stata il fatto di essermi messo a scrivere in modo meno occasionale. Probabilmente nei critici cercavo la rivelazione di qualche "segreto" del mestiere. A tormentarmi in que lperiodo era il fatto di non comprendere la ragion d'essere del "postmoderno" (e sul versante filosofico quella dello strutturalismo). Neanche Luperini, che dal postmoderno era ossessionato, mi ha aiutato in questa ricerca. Foucault al contrario mi ha aiutato a capire, non lo strutturalismo, ma la "cura di sè" (mi riferisco alle sue mirabili lezioni sulla filosofia greca dell'ellenismo al Collegio di Francia).
Epperò la frequentazione dei critici mi ha orientato verso un rapporto più professionale nei confronti della lettura. Basta con le letture occasionali, con i grandi assalti di entusiasmo. Al loro posto letture mirate. Un tassello dietro l'altro.
In questo modo, senza essere diventato un esperto, ho cominciato a diventare un lettore colto.




novembre 22, 2021

Il lettore comune, questo sconosciuto

Torniamo sul tema del LETTORE. E' un tema che ci sta particolarmente a cuore, perché i romanzi dello scrivente incontrano il più delle volte delle disconferme. A dirla spiccia, i lettori o non ce la fanno a finire il romanzo oppure dichiarano di essersi persi, di non aver capito molti passaggi.


A nostra consolazione va detto che questi lettori sono gli stessi che "mollano il colpo" davanti ad autori ultra classici, come Virginia Woolf. E non la Woolf delle Onde, ma quella di Gita al faro. Sono lettori "viziati" da una certa letteratura di consumo, che propone trame lineari e un linguaggio semplice. Potremmo definirla una letteratura del microquotidiano (questo è senz'altro il caso di Banana Yoshimoto) o del dramma individuale (una malattia, una tragedia familiare, un rapporto in crisi). Va da sè che un'autrice attenta all'intimità  minuto per minuto dei suoi personaggi, come Virginia Woolf, disorienta, anche per la sua inclinazione ad ascoltare e registrare il "rumore" interiore di più personaggi contemporaneamente (si veda l'attacco della Signora Dalloway). 

Scavando nella biografia di questi lettori si scoprono alcune cose interessanti. Intanto non hanno compiuto un corso di studi orientato verso le "belle lettere", come si chiamavano una volta. Quindi non hanno preso confidenza con lo scenario, come potremmo definire lo snodarsi nel tempo della "cosa letteraria". Non hanno quelle  convenzionali coordinate che possiede chi ha studiato in modo tradizionale la storia della letteratura (come la storia della filosofia o la storia dell'arte). Dove per "tradizionale" si intende il modello scolastico consacrato da Giovanni Gentile. 

Altro handicap (usiamo questo termine in modo bonario): non hanno fatto il passaggio da una conoscenza scolastica di "primo grado" ad una conoscenza scolastica di "secondo grado". Ci riferiamo a quella stimolante discontinuità che si creava quando lo studente, promosso alla maturità, passava dallo studio liceale allo studio universitario, che era caratterizzato dall'approfondimento monografico e dal ricorso alla "critica" (critica delle fonti, comparazione critica dei diversi approcci etc.). Niente a che fare con la tranquillizzante sequela di dati certi che era lo studio del manuale scolastico.

Se al liceo si studiava sostanzialmente la biografia del Tasso, all'Università si analizzava la sua opera, utilizzando un approccio che veniva dichiarato (e questa era la principale novità): approccio stilistico (nel caso per esempio di Fubini), approccio sociologico, approccio storicistico, come nel caso di Sapegno etc. Questa discontinuità consentiva di aggiungere alla sommaria idea dello scenario ottenuta dallo studio scolastico licealeuna seppur vaga idea di in che cosa potesse consistere la navigazione critica nella cosa letteraria. 

Orbene, si può dire con un certo margine di approssimazione  che il lettore comune non ha mai compiuto nè il primo nè il secondo passo di questo tirocinio.



 Ma allora, in cosa consiste il modo di leggere del lettore comune? E da cosa nasce la sua "voglia" di leggere?

E perchè il lettore comune orienta il più delle volte le sue preferenze verso testi rassicuranti, nei quali raramente capita di incappare negli "ostacoli" che gli autori con la A maiuscola dispensano a piene mani nei loro testi: una lingua lontana dal parlato quotidiano, una direzione di marcia segmentata (si pensi a certi salti temporali, come in Arance rosso sangue di John Hawks o ne Le correzioni di Jonathan Franzen), una predilezione per il discorso interiore, l'assenza di "eroi" e di trame avventurose, l'ibridazione dell'intreccio, che si apre spesso a divagazioni saggistiche (es. 2666 di Bolagno o Austerlitz di Sebald)?




novembre 21, 2021

MEGLIO essere un lettore "COMUNE" o un lettore COLTO?

 


Mi è capitato svariate volte di scoprire che molte persone non conoscono i grandi autori contemporanei. E non parlo di "pauci" lettori (ricavo il termine dalla covid-novela: pauci sintomatici...). A volte sono persone che leggono i loro bravi 20 libri all'anno. Cioè sono quelli che lo statistico chiama "lettori forti".

Per intenderci. Mi riferisco ad autori come il tedesco Sebald, il francese Houellebecq, gli americani Vollmann, Vonnegut, Franzen, il russo francesizzato Volodine. Etc etc.

Quelli che ho elencato, non sono neanche gli autori più "recenti". Fra di loro non ci sono premi Nobel freschi di alloro come Gurnah, Gluck, Handke, Tokarczuk, Ishiguro. L'area di appartenenza inoltre è quella tradizionale: europea ed americana.

Confesso la mia ignoranza. I premi Nobel che ho citato sopra io non li nemmanco sfiorati. E non ho neanche mai letto, per restare in Italia, W. Siti o Mari. Moresco l'ho solo assaggiato. Fra gli italiani l'ultimo che ho letto è (vado a memoria) Vassalli, che peraltro è un premio Strega anche lui. Vassalli è morto di recente (2015). Ma il suo romanzo più noto (La chimera) è del 1990. Dunque non sono un lettore "à pa page". Ciononostante mi considero un lettore "colto". 

Riflettendo su queste tre categorie di lettori (il naive, il colto, il lettore à la page), mi è balzata davanti agli occhi l'incisione di G. Dorè che rappresenta il canto 31 del Paradiso di Dante.



Come vedete ci sono 2/3 anelli concentrici che NON comunicano fra di loro.

Ecco, i tre lettori di cui ho parlato, forse, più che non comunicare fra di loro, diciamo che arrivano alla lettura procedendo per vie diverse. 

Tiro a indovinare: il lettore colto si fa ispirare da testi di critica letteraria (come ad esempio, banalmente, Walter Pedullà racconta il novecento, BUR 2013) e sceglie il romanziere. Il lettore naive si fa cosigliare dal libraio o dall'amico o dalla cronaca (il fatto di aver vinto il premo Strega, ad esempio) e scegli il romanzo. Il lettore a la page è  attivissimo sui social, sa quanto è necessario sapere, è informato su tutto ciò che avviene nel sacro recinto delle lettere. Il lettore à la page sceglie tutto e non sceglie niente..

Mi rendo conto che le mie sono pennellate assolutamente superficiali. La sociologia della letteratura è un'altra cosa. Ma dite la verità: quando mai si raccontano queste cose? Il massimo che si dice è: la gente non legge più, la gente legge quello che il "mercato" gli dice di leggere (per esempio Fabio Volo). Sono notazioni assolutamente insufficienti. Che non spiegano come mai esistono i cerchi concentrici di cui ho parlato più sopra.

Se poi capita, come a me, di scavalcare la barriera di vuoto che separa i tre cerchi e mi metto a dialogare con qualcuno che viaggia su un altro binario, allora la sensazione di appartenere a "universi paralleli" diventa ancora più forte.

In genere il lettore naive pridilige una letteratura facile (che io, snob, non considero neanche letteratura), mentre il lettore à la page, pur leggendo tutto, ha in testa una graduatoria settaria della letteratura. Ne conosco alcuni, con cui ho rotto per il loro fanatismo.  Proustiani fino al midollo. Secondo loro dopo Marcel non è cresciuto più un filo d'erba nel mondo letterario. 




P.S Una cara amica, leggendo questo post mi ha elencato i criteri con cui sceglie un romanzo: l'argomento (o la trama), la copertina, la presentazione in TV. Questo ribadisce quanto detto sopra: il lettore naive (senza offesa beninteso) sceglie per lo più il prodotto, non l'autore del prodotto. Quanto all'autore, non sa a priori come collocarlo nel panorama letterario. Diciamo che il termine stesso di panorama letterario non gli appartiene. Il suo merito: è sicuramente meno "scolastico" del lettore colto, meno "succube" dei critici. In compenso è "in balia" del marketing, scegli in base alla eco che un romanzo ha sui media. Non possiede coordinate. Per questo tipo di lettore la letteratura è un mare aperto, senza confini, senza rotte, dove navigare significa lasciarsi andare al vento che soffia di momento in momento.




novembre 19, 2021

refresh

Luca Ricci sul Domani di oggi (scusate il bisticcio involontario) racconta la penosa condizione dello scrittore contemporaneo alle prese con il compito di autopromuoversi. Un'autopromozione che si sviluppa prevalentemente sui social e che è quasi più importante dell'aver scritto un buon romanzo. Questo lavoro di autopromozione ha corollari penosi, fra i quali, in primis, il fatto di essere del tutto a carico dell'autore. L'editore non "paga" le estenuanti presentazioni in libreria. L'editore non c'entra con il lavoro di promozione di se stesso che l'autore fa su Twitter o su Facebook. Altro corollario penoso: chi ha un buon seguito su Internet, perchè sa titillare la pancia dei suoi follower, riesce a  farsi conoscere meglio di chi ha scritto un romanzo migliore, ma non è bravo a farsi amare dalla gente.


Ma che fine hanno fatto i critici? Che fine hanno fatte le recensioni? Che fine hanno fatto i salotti letterari? Che fino hanno fatto gli editori che si fregiavano del fatto di aver un promettente autore nel loro catalogo? In poche parole: che fine ha fatto quel circuito di "tecnici" che un tempo faceva da filtro fra l'autore e il pubblico?

Sembrano scomparsi nel nulla. Volatilizzati. Sgominati dall'invadenza dei social. I quali da un lato assicurano una "popolarità" immediata, ma anche molto volatile, dall'altro esigono di essere continuamente implementati e con tecniche che appartengono alla cassetta degli attrezzi più del pubblicitario che dello scrittore (da cui il termine Refresh utilizzato da Luca Ricci). Morale: lo scrittore si trova più o meno nella stessa situazione dell'influencer, che per poter "capitalizzare" (sui brand che promuove) deve costantemente essere sulla breccia. Cioè avere migliaia (se non milioni) di follower e tesaurizzare  migliaia di "mi piace".

In realtà le cose  non stanno esattamente così. Come sempre la realtà è più complessa. 

I critici esistono ancora. Diciamo che si sono "imboscati" nelle Università, facendo i docenti. Però scrivono ancora moltissimo. E partecipano ai convegni. Rispetto ai "bei tempi", quando il critico (militante) promuoveva o giustiziava un autore dalle colonne di un giornale, oggi il critico per quanto alzi la voce  non arriva a farsi sentire dai lettori. Di conseguenza non interessa più agli editori. Qualche critico ha accettato la sfida di Internet. Ma si è trovato circondato da decine di ferratissimi estensori di blog letterari, spesso più abili di lui nel costruirsi un seguito. Scrivere un buon saggio di critica letteraria e imporsi su Internet implicano infatti abilità diverse. Da un lato Internet è più "democratico", perchè ci si accede motu proprio. Dall'altro Internet non offre garanzie di serietà, perchè non prevede la gavetta che in passato un critico doveva fare per aver diritto di fregiarsi di questo appellativo.



Altro aspetto della questione che spesso non compare sui radar: i critici coltivano autori che il pubblico generico non sa neanche che esistono. Sono autori considerati "validi" sotto il profilo letterario, a prescindere dal loro successo commerciale. Basta scorrere gli atti di un convegno o l'indice di un saggio.
 

Facciamo qualche nome: Antonio Scurati, Walter Siti, Babsi Jones, Bajani, Mari, Moresco, Pincio... etc. I primi due sono conosciuti anche dal grosso pubblico, perché scrivono spesso sui giornali. E vincono premi letterati. Ma gli altri li conosce sono il moderno cultore di letteratura. Una figura evanescente, non codificata, della cui esistenza è persino lecito dubitare.


Per contraltare, esiste tutto un mondo di autori commercialmente di successo che non hanno accesso ai piani alti, meglio sarebbe dire le stanze segrete in cui si consacrano i cavalieri della tavola rotonda. Sono questi gli autori a cui accenna Luca Ricci, i peones della "non letteratura", i tanti (troppi) che si sono fatti tentare dall'idea di scrivere un romanzo. E vivono una sola stagione o una sola giornata, arrancando come dei disperati da una presentazione all'altra, su e giù per l'Italia. Qualcuno di loro (pochissimi) accede ai livelli superiori: vende, viene tradotto, vince importanti premi letterari. Ma attenzione a non confondere i piani. Non c'è osmosi fra i diversi ambiti. Il circuito "popolare", comprenderà pure gli editori (va da sè, sono interessati a fare numero...),  ma non comprende i critici. Di conseguenza il beniamino di internet non sarà mai cinto del serto di alloro che cinge la fronte degli autori che hanno fatto e fanno la letteratura. 

Post Scriptum: le immagini che compaiono non c'entrano niente con il testo. Le abbiamo inserite solo perché ci piacevano. L'ultimo quadro appartiene alla collezione del premio Suzzara: una collezione sconosciuta al grosso pubblico, che "è morta lì", pur avendo avuto, quando è nata, nell'immediato dopoguerra, l'ambizione di essere "popolare".