novembre 30, 2014

CHE FINE HANNO FATTO TUTTI QUESTI ROMANZIERI?




Si dice che il tempo sia galantuomo. Ma a me non sembra che le cose stiano proprio così.  

Focalizziamo l'attenzione sull'Italia dei primi anni '60.
In questi anni matura uno dei primi clamorosi casi editoriali del dopoguerra: il Gattopardo (Feltrinelli 1962), seguito da Lessico familiare di Natalia Ginzburg (Einaudi 1963).
Altri bestseller  segneranno la cronaca degli anni a seguire: Porci con le ali di Mario Lombardo Radice e Lidia Ravera, Savelli 1976, Vestivamo alla marinara di Susanna Agnelli, Mondadori 1975, Il giorno del giudizio di Salvatore Satta,  Cedam 1977.

Ma accanto a questi esempi eclatanti di successi del momento, che in alcuni casi sono riusciti a proiettarsi anche nel futuro (è il caso sicuramente del Gattopardo), quanti altri scrittori attivi negli anni '50 e '60 (a parte i soliti Vittorini, Pasolini etc.) hanno goduto di buone tirature e non sono caduti prima o poi nel dimenticatoio più nero?




Via, vorrai mica metterti a fare la conta dei morti?
In un certo qual senso, sì. Intendo fare la conta dei morti.
Ma non la voglio fare per un decadente gusto del macabro o per rendere omaggio ai trapassati. Lo voglio fare per chiarire  il modo per niente semplice e lineare in cui opera la cosiddetta "fortuna" (operazione utile in tempi di semplificazione estrema e di perdita della memoria storica come quelli attuali). 

Una cosa che è normale per noi - oggi - non lo è sempre stata. E noi, di questa ovvietà, non ce ne rendiamo mai abbastanza conto. 

Scendendo su un piano più concreto. Credete forse che le graduatorie letterarie che vigono oggi siano le graduatorie letterarie che vigevano negli anni'50?  E credete che negli anni '80, più vicini a noi, si avessero le stesse graduatoria di oggi? 
Un esempio servirà a chiarire meglio il concetto. Di recente Romano Luperini, commemorando il Gruppo 63, ha ricordato una cosa che può apparire strabiliante. All'inizio degli anni '60  all'Università di Pisa, tranne uno, nessuno dei docenti aveva mai letto La coscienza di Zeno di Italo Svevo.
Ebbene sì. Stiamo parlando di uno dei protagonisti (insieme a Pirandello e Tozzi) del Novecento italiano! Un autore che oggi, grazie agli sforzi dei pionieri della critica sveviana, come Giacomo Debenedetti (1901-1967), è definitivamente incoronato fra i padri della patria. E che, di conseguenza ha un posto di rilievo nel canone ufficiale, scolastico e accademico.

Ma torniamo ai nostri desparecidos.


Oggi noi siamo tutti convinti che l'Italia letteraria degli anni '50 si riassuma nei nomi di Pavese, Vittorini, Pasolini, Moravia (Calvino raggiungerà la maturità artistica più tardi).
Vero, se visto con la coscienza di oggi che ormai ha smaltito gli entusiasmi e il biasimo dei contemporanei e ha costruito attorno a questi autori un complesso edificio di consensi, fatto di studi critici, edizioni e riedizioni editoriali, recensioni e convegni. Ma se ci retrodatiamo di trentacinque anni e scorriamo per esempio le pagine della LIL, ovvero della Letteratura Italiana Laterza curata da Carlo Muscetta  (l'ultimo volume fu pubblicato nel 1980), scopriamo che il panorama letterario degli anni '50/60, in cui imperava il neorealismo e che avrebbe di lì a poco subito l'attacco della neoavanguardia, era tutto un pullulare di scrittori che negli anni '80 erano meritevoli non di una semplice citazione, ma di una vera dissertazione, mentre oggi non vengono più letti e sono confluiti in quel cimitero degli elefanti (detto senza offesa) che è il Mare magnum dell'usato.

Attenzione: non stiamo parlando di scrittori di cassetta (un termine che su Google non si trova neanche). Stiamo parlando di intellettuali socialmente impegnati, come, per citarne due soltanto, il napoletano Carlo Montella, autore de I parenti del sud (1953) pubblicato nei Gettoni di Vittorini. O come Michele Prisco (di Torre Annunziata), premio Strega 1949 con La provincia addormentata.

Il secondo ha una voce su Wikipedia. Il primo non ce l'ha neanche.

P.S. Mentre sviluppavo queste considerazioni mi è venuto in mente che l'arte figurativa gode di una considerazione infinitamente superiore. I cosiddetti MINORI non vengono quasi mai abbandonati al loro destino. L'Italia è ricca di una schiera di mecenati che in ogni città ha edificato un museo dedicato ai pittori e agli scultori della zona (musei che spesso, ahimè, sono vuoti). Nel campo letterario non esiste nulla di paragonabile e se uno scrittore, dopo dieci o vent'anni, per vicende sempre piuttosto complesse, ha la sfiga di tramontare... FINE ....possiamo considerarlo morto e sepolto e solo qualche flaneur andrà a fiutare i suoi resti.  
 

novembre 28, 2014

ROMANZI "SPERIMENTALI" da RIBATTEZZARE


In un altro post polemizzavo con la tendenza a definire sperimentali  tutti quei romanzi che non rientrano nel cliché del romanzo lineare ad intreccio (la definizione, un tanto al chilo, è mia). Tendenza che induce un atteggiamento di pigrizia e scoraggia dall'escogitare categorie d'analisi più sofisticate.
Nel post citavo, come occasione perduta, The Waves, 1931.  
Ora questo romanzo "sperimentale" di Virginia Woolf vorrei analizzarlo insieme a voi, nel tentativo magari di rimediare un cincino al torto fatto.
Dato però che il blog si proclama assertore dell'italiano, alle Onde di Virginia Woolf affiancherò l'Horcynus Orca del siciliano  Stefano D'Arrigo (1975).
Non che ci sia un rapporto qualsiasi fra i due romanzi. Si dà il caso, semplicemente, che anche l'Horcynus (come tanti altri romanzi estremi) meriterebbe che si facesse lo sforzo di coniare per lui una definizione un po' più sostanziosa.


Dunque, per cominciare, Le Onde.
Premettiamo che una sola lettura di questo romanzo non basta. E già questo manderà in bestia i lettori edonisti.
La prima lettura di Le Onde disorienta.
Ok. Hai appena bypassato il primo Interludio lirico  che è di una bellezza sconvolgente e che meriterebbe di essere accompagnato dalla colonna sonora di Odissea nello spazio.  Ti stai chiedendo cosa ci stia a fare questa sorta di poesia in prosa sul sole che sorge sulle onde del mare.  Poi ti accorgi che il testo è in corsivo e questo ti tranquillizza.  Sarà un flashback...




Varcato il preambolo, inizia la teoria dei "disse". Solo che all'inizio la teoria dei "disse" è incalzante come una filastrocca psichedelica:

Disse Bernard... due righe dopo disse Susan... due righe dopo disse Rhoda e così via per una quindicina di pagine. Fino a che i 6 bambini non vanno a letto, al culmine di una intensa giornata di giochi, abboccamenti, inseguimenti, giravolte, emozioni.

Finito questo primo Soliloquio a più voci, che potremmo intitolare il bacio, perchè tutto ruota intorno al bacio che Jinny (la seduttiva) dà a Louis (il complessato), attacca un altro Interludio lirico, che anch'esso parla del sole e del suo maestoso levarsi sulle onde del mare. E, a seguire, attacca un altro Soliloquio a più voci, che questa volta ruota intorno ai 6 ex bambini, ora ragazzetti, tre maschi e tre femmine, che lasciano la famiglia per andare al college.

Giunto a questo punto, il lettore edonista si è ormai arreso, preso dallo sconforto e in preda alla netta sensazione  che  questo romanzo non abbia né un capo né una coda (confermo. anch'io l'ho pensato la prima volta).

E questo non tanto perché si fa un po' fatica a seguire la storia, che è tutta e solo una sequenza di "disse". Ma soprattutto perché i sei personaggi (più il settimo, Percival, che però non agisce, ovverosia non ha soliloqui) ti sfuggono dalle dita come acqua fresca.  Bernard, Susan, Rhoda, Neville, Jinny, Louis sono onnipresenti e ti accompagnano pagina dopo pagina, colti nelle diverse fasi della loro esistenza, dall'infanzia alla tarda maturità. Ma sono così cangianti (all'apparenza), così saturi di emozioni, pensieri, idiosincrasie, paure, fantasie che un lettore non pratico impazzisce, nel tentativo di afferrare l'orlo di una sottana o il lembo di una giacchetta: "fermati, fammi capire che testa hai, che personaggio sei...".

Questa ossessione del personaggio non so se l'ha suggerita abilmente Virginia Woolf con la sua ben nota tecnica della rappresentazione della coscienza pluripersonale, già sperimentata in altri romanzi, come To the Lighthouse (Gita al faro) o se è un retaggio di una abitudine contratta frequentando un certo tipo di romanzo, dove tutto viene spiattellato d'emblée fin da principio. E dove c'è una trama esplicita, una ambiente dettagliato, un tempo da cui non si scappa e non si può scappare.
Fatto sta che questa ossessione del personaggio ti perseguita per tutto il corso della prima lettura, anche se Virginia Woolf un po' ti aiuta, attribuendo a ciascun personaggio immagini e ossessioni tipiche, che a poco a poco ti consentono di individuarlo. "Ah, ecco, questo è Bernard che ha la fissa di raccontare storie e che tutti stanno a sentire... e questo è Louis che ha il naso grosso e l'accento coloniale e che si sente inferiore agli altri perché non è inglese....".

E poi... e poi c'è lo scorrere del tempo, che nei preludi si risolve nello scorrere di una giornata (attenzione, una giornata in cui le persone quasi non ci sono, mentre ci sono gli uccelli, gli insetti, la luce, il vento, le onde) e invece nei soliloqui si risolve nello scorrere di una intera vita, fino all'assolo finale di Bernard, il cantastorie, ormai vecchio, ormai canuto, ormai stufo:

"Come sono stanco di storie, come sono stanco di frasi che escono così bene, con tanto di piedi per terra! e come non mi fido di quei bei progetti di vita, così precisi, tracciati su un foglio di carta da lettere. Comincio a desiderare un linguaggio a parte, come quello degli innamorati, parole smozzicate, inarticolate, simili allo scalpiccio dei piedi sul selciato...".
 
(De Chirico, copia)


Qui non siamo già più nella narrazione di piccoli fatti quotidiani concentrata in poche ore come nei precedenti romanzi di Virginia Woolf (Gita al faro,1927; La signora Dalloway, 1925). Qui  si assiste al contrario allo svolgimento completo di più vite umane. 
Ma coerentemente con la tecnica collaudata da Virginia Woolf, la narrazione  procede quasi esclusivamente per guizzi di coscienza. I quali, se non sovvertono, certamente mettono in ombra l'ordine cronologico e la compiutezza esteriore del romanzo tradizionale.

Come si fa, dio buono (finzionionimagazine) a dire che la letteratura è noiosa?
La letteratura è faticosa, sicuramente. E queste Onde lo confermano in pieno. Ma noiosa... no. Quando è grande letteratura, noiosa non lo è.

Nota: come è risaputo un intervento illuminante su Virginia Woolf  che merita ancora di essere letto è quello di Erich Auerbach in Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale (1946)pubblicato da Einaudi nel  lontano 1956 e ripubblicato nella Piccola Biblioteca Einaudi nel 2000. Ecco la presentazione un po' stantia che ne fa l'editore.


Mimesis è un'indagine condotta sul realismo letterario, dagli antichi tempi biblici e omerici sino al Medioevo cristiano, al Rinascimento, al Sei e Settecento e che si estende quindi, attraverso il nodo centrale del realismo moderno ottocentesco, fino agli scrittori del Novecento, in particolare Marcel Proust e Virginia Woolf. L'autore ha inteso accertare la presenza e la validità della teoria classica dei livelli di stile nella rappresentazione letteraria, pervenendo a una storia del realismo per mezzo di una metodologia stilistica. È nato cosí un capolavoro della critica letteraria in cui si può cogliere all'opera l'acutezza di uno studioso che si rivela anche scrittore impegnato sugli autori piú famosi e sulle opere principali della civiltà europea. 

P.S. non abbiamo fatto in tempo ad affrontare il caso di Stefano D'Arrigo e neanche ad abbozzare una qualche definizione del romanzo di Virginia Woolf. Sarà per la prossima volta!

novembre 26, 2014

NON VE L'HO DETTO CHE HO LA PUZZA SOTTO IL NASO?







Mi è capitato per caso di intercettare un altro blog letterario. Assai più scafato, collaudato, vissuto del mio.
Intanto il "loro" è un sito originale, mentre questo è un sito prefabbricato da Google (Blogspot) personalizzato in maniera minima da me.
E poi: "loro" sono probabilmente più di uno, mentre io qui mando avanti la baracca da solo, aiutato soltanto dal mio alter ego (Rolando Solidago). Il che significa in pratica che UNO siamo e UNO restiamo.
Gli faccio i complimenti, ai ragazzi di questo blog letterario (corsivizzo perché non sono poi tanto certo che sia letterario veramente).
Ma dissento su tutta la linea.

Che faranno di male, dio buono, questi poveri ragazzi?
Vi invito a prender contatto diretto con loro, anche se così facendo rischio di perdervi tutti. Tanto può essere suadente la sirena della pseudo-democrazia (o democrazia della rete o democrazia alla Beppe Grillo o come altro vogliamo chiamarla), che oggi è così di moda e che, presso i rampanti, ha sostituito la magica CLASSE risolvi-tutto che negli anni della mia giovinezza riempiva tutte le bocche, tutti gli scritti, tutte le conferenze.



Ecco, l'ho fatto! mi sono tagliato le palle da solo. Vi ho segnalato il concorrente più civettuolo, più sgarzulino, più populista che ci sia in rete. Il blog sirena. Il blog che titilla il narcisismo insito in noi fin dalla prima infanzia. 
Ma perché, dio buono, l'ho fatto?  voglio forse darmi la zappa sui piedi? 

Ma è ovvio! perché io ho una posizione eminentemente elitaria, spocchiosa, dandy. Ho un sacco di puzza sotto il naso e dunque non mi interessa rastrellare a tutti i costi i consensi. Io ho inoltre una visione dello scrivere (e dell'arte in genere) come processo solitario. Dunque, pur non rifiutandole a priori, non sono interessato alle prassi di scrittura collettive.

Loro, invece. Loro... sono democratici, egualitari, di massa. Loro

sono i lettori!



Eccoli qui i peones che si sono ribellati a quei noiosi dei critici e a quei noiosi degli scrittori solipsisti.  E che scimmiottano i noiosi critici e gli ancor più noiosi scrittori, dandosi alla lettura creativa (una bella pubblicità gratuita per gli editori, suggerisce impertinente Rolando).  

A chi si rivolgono? voglio essere impertinente e caustico, a costo di essere ingiusto: a tutti coloro che amano il divertimento, la comica, l'happy hour, l'autoreferenzialità e che odiano lo sforzo, l'applicazione, i severi studi, l'arte che non bamboleggia.
Insomma, a tutti coloro che sono stati nutriti non a letture corroboranti e formative, ma sono stati lanciati a briglia sciolta nel mondo, come orde priapesche,  al grido di: la corazzata Potemkin è una cagata pazzesca (è qui che, a mio parere, è cominciato, nel 1976, il post-moderno).





Ma vediamolo più da vicino questo benedetto blog.
Il loro slogans, intanto, è tutto un programma: "La letteratura è noiosa" ti dicono così senza mezzi termini.
Una loro iniziativa divertente è il libretto rosa, che loro definiscono "una buona base di partenza per  riportare i lettori e la lettura al centro del mondo editoriale, attraverso il dialogo serrato con gli altri soggetti che lo abitano".


Il loro credo è la lettura sociale, vale a dire una lettura in cui "ognuno aggiunge i propri commenti, le proprie idee, le proprie correzioni".
Il loro programma politico è costruire "un futuro in cui gli scrittori, gli editori, i librai e tutte le altre figure del mondo editoriale dialoghino con i lettori allo scopo di costruire, insieme, delle visioni alternative alla realtà che ci circonda".

Bella utopia, non c'è nulla da dire. Ma è una utopia che sottintende un grosso fraintendimento: "Siamo lettori e narratori ad un tempo. Noi siamo i nostri autori".
Eccole qui le novelle guardie rosse!

Ma con chi se la prendono in particolare questi ragazzi, che a quanto mi risulta nessun Mao ha mai sdoganato, per cui si suppone che si siano autoproclamati guardie rosse (non è forse vero che agitano un libretto rosa?)?

Se la prendono con i critici, che a loro parere sono tremendamente noiosi (ecco perché ho parlato prima di amanti dell'happy hour. Non certo per denigrare, ma per sottolineare la componente anti-professionale che circola in questo blog).

Ma, attenzione! Se se la prendessero solo con i critici, poco male. I critici - e lo sanno perfettamente anche loro - ormai contano come il due di picche. Quindi l' aspro attacco che il blog muove ai noiosi giunge un tantino in ritardo.

Epperò se la prendono anche con l'Autore, che a loro  dire è morto, sepolto, cremato e inumato da un bel dì, ma che qualche anima dispettosa ogni tanto tenta di riesumare.

"Dichiarato morto già diversi decenni fa, il suo cadavere viene puntualmente resuscitato dai Dr. Frankenstein della critica e della comunicazione, che deliberatamente ignorano tutte le prassi di scrittura che hanno demolito l’immagine dell’Autore con la A maiuscola".

Viva la rivoluzione! Quando vedremo cadere le prime teste?

P.S. Naturalmente io non simpatizzo affatto per l'attuale "regime" editoriale. Ma questo tipo di attacco alla "casta" degli scrittori e dei critici (che ormai casta non lo è più da un bel pezzo) oltre ad essere becero non consente di vedere i veri problemi e si traduce in una delirante corsa in avanti verso qualche nuovo paradiso artificiale ideologico.





novembre 25, 2014

QUANDO L'ITALIA SI ABBOFFAVA DI BUONI ROMANZI


Quest'anno la lamentela corrente, si sa, è: nessuno legge più. Naturalmente le cose non stanno proprio così. Si legge meno, questo sì, come ha evidenziato di recente il rapporto Nielsen 2014, che parla di una flessione dal 49% al 43% della percentuale dei lettori in Italia.
Attorno a questi dati le analisi e le denunce si sono sprecate: colpa degli editori, colpa di internet, colpa degli e-book etc. etc.
Avrete capito dal modo sciatto con cui stiamo affrontando la questione che - personalmente - se si legge meno ci importa assai poco. Il problema, a nostro parere, è un altro. E cioè: cosa si legge? Se infatti si continuasse a leggere bellamente come prima, ma si continuasse a leggere schifezze, beh ci sarebbe lo stesso da stare poco allegri.

Detto questo, andiamo a vedere come stavano le cose quando l'Italia era "giovane", ovverosia in quei benedetti anni della ricostruzione (cui sarebbe seguito subito dopo il boom) che oggi molti ricordano con nostalgia e rimpianto.

Deposto il fascismo, gli editori tornano a pubblicare con una certa lena opere straniere.

(Renato Paresce)

Nel 1946 Mondadori edita Addio alle armi di Hemingway, che era uscito nel 1929.
Nel 1947 Einaudi pubblica, sempre di Hemingway, Morte nel pomeriggio (1932) e Verdi colline d'Africa (1935).
Un successo! al punto che nel 1957 Hemingway in Italia è ormai pubblicato tutto.
Nel 1949 Mondadori pubblica il romanzo più ostico di Thomas Mann, il Doctor Faustus, uscito solo due anni prima.
Nel 1952 Mondadori ed Einaudi pubblicano entrambi contemporaneamente una nuova traduzione dei Buddenbrook, scritto nel lontano 1901 e pubblicato in Italia la prima volta nel 1930 (Barion editore).
Nel 1954 Dall'Oglio ripropone, sempre di Mann, Altezza reale (prima edizione italiana 1933) e Einaudi nel 1955 fa conoscere Cane e padrone.
Ma la fame viene mangiando, perché nel 1960 Mondadori osa pubblicare l'Ulisse di Joyce (1922).
A dirla tutta Frassinelli l'aveva preceduta con Dedalus. E la stessa Frassinelli aveva bruciato le tappe facendo conoscere in Italia, già nel 1933, Il processo di Kafka (1925).

Per finire, nel 1950, per iniziativa dell'Einaudi viene tradotta in italiano l'opera più emblematica del '900 (anche se qualcuno suggerisce che appartenga di diritto all'800): La recherche di Proust (1913-1927).

(Massimo Campigli)

Ma più di queste indicazioni bibliografiche, vera manna solo per il bibliofilo, a farci capire cos'eravamo e cosa siamo diventati basta un solo dato: nel 1962 il volume dei libri stampati in Italia, rispetto al 1938, risulta aumentato del 150% e l'editoria di qualità può cominciare a guardare con un certo fiducia al futuro: se tanto ci da tanto, non è escluso che anche in Italia possa prendere piede un mercato di massa del libro, in grado -chissà- di far concorrenza ai fotoromanzi e ai rotocalchi.




Non va sottaciuto, in questo quadro "roseo", che questi sono anni fausti anche per i nostri autori.
Pavese pubblica nel quinquennio i romanzi della maturità:  nel 1947 Il compagno, nel 1948  Prima che il gallo canti, nel 1950 il suo capolavoro, La luna e i falò.




Sempre in quegli anni l'Einaudi esce con I gettoni, una collana economica ideata da Elio Vittorini, che pubblica (dal 1951 al 1958) solo opere di narrativa contemporanea, per lo più di autori italiani. Non tutti sconosciuti, ma la gran parte sì. Un gesto di fiducia nei confronti dei nostri autori e dei nostri lettori  che dovrà attendere gli anni '90 per essere bissato.

·         1. Franco Lucentini, I compagni sconosciuti 
·         2. Lalla Romano, Le metamorfosi 
·         3. Pietro Sissa, La banda di Dohren
·         5. Fortunato Seminara, Il vento nell'oliveto
·         6. Giovanni Pirelli, L'altro elemento
·         7. Mario Tobino, Il deserto della Libia
·         8. Carlo Cassola, Fausto e Anna
·         9. Italo Calvino, Il visconte dimezzato
·         10. Giovanni Arpino, Sei stato felice, Giovanni
·         11. Beppe Fenoglio, I ventitré giorni della città di Alba
·         12. Raul Lunardi, Diario di un soldato semplice
·         13. Remo Lugli, Le formiche sotto la fronte
·         14. Antonio Guerra, La storia di Fortunato
·         15. Mario La Cava, Caratteri
·         16. Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve: ricordi della ritirata di Russia 
·         17. Lalla Romano, Maria
·         18. Anna Maria Ortese, Il mare non bagna Napoli
·         19. Carlo Cassola, I vecchi compagni
·         20. Antonio Terzi, La sedia scomoda
·         21. Carlo Montella, I parenti del Sud
·         22. Renzo Biasion, Sagapò
·         23. Ottiero Ottieri, Memorie dell'incoscienza
·         24. Giampiero Carocci, Il campo degli ufficiali
·         26. Sergio Antonielli, La tigre viziosa
·         27. Italo Calvino, L'entrata in guerra
·         28. Fortunato Seminara, Disgrazia in casa Amato
·         29. Aldo De Jaco, Le domeniche di Napoli
·         30. Beppe Fenoglio, La malora 
·         31. Giuseppe Bonaviri, Il sarto della stradalunga
·         34. Nello Saito, Gli avventurosi siciliani
·         35. Giovanni Testori, Il dio di Roserio
·         36. Raffaello Brignetti, La deriva
·         39. Sergio Civinini, Stagione di mezzo
·         40. Dante Troisi, Diario di un giudice
·         41. Silvio Guarnieri, Utopia e realtà
·         44. Marcello Venturi, Il treno degli Appennini
·         45. Francesco Leonetti, Fumo, fuoco e dispetto
·         46. Angelo Ponsi, La dichiarazione
·         47. Manlio Cancogni, La carriera di Pimlico
·         48. Antonio Guerra, Dopo i leoni
·         50. Rolando Viani, I ragazzi della spiaggia
·         51. Gualtiero Ghizzoni, Il cappellaccio
·         52. Gino Cesaretti, I pipistrelli
·         53. Luigi Davì, Gymkhana-cross
·         54. Ottiero Ottieri, Tempi stretti
·         55. Giovanni Pirelli, L' entusiasta
·         56. Mario La Cava, Le memorie del vecchio maresciallo
·         57. Leonardo Sciascia, Gli zii di Sicilia 
·         58. Luciano Della Mea, Il colonnello mi manda a dire