dicembre 21, 2020

CROAK PI


l'immagine di copertina di Croak Pi
 

Croak Pi, il titolo dell'ultimo romanzo di Pietro Cabrini, è stato rubato a John Hawkes e per la precisione al romanzo Arance rosso sangue, dove Croak Pi figura per esteso come  Croak Peonie.

Che cos'è Croak Peonie? E' una dicitura intraducibile, che esemplifica la rozzezza di una lingua arcaica. La lingua che parla una non meglio precisata popolazione del Mediterraneo, fatta di contadini e di pescatori. Croak Peonie è dunque la cornice diciamo così allegorica in cui si svolge la storia d'amore dei quattro protagonisti del romanzo. 

E Croak Pi? Anche Croak Pi è una cornice diciamo così allegorica. Che cela una realtà, ma la reinterpreta liberamente e la trasferisce su un piano simbolico. Così facendo un "banale" villaggio collinare viene trasformato impercettibilmente in un luogo mentale. Dove agiscono personaggi che sono istanze e aspirazioni del vivere. Istanze poco riuscite, nella maggior parte dei casi. E aspirazioni mancate.  Con qualche isolata  eccezione.

Cronologicamente la storia si sviluppa a cavallo della Grande guerra, con una coda significativa negli anni del cosiddetto Boom economico, l'epoca in cui l'Italia rurale si spopola e si travasa nelle nuove periferie.

Ma non c'è nessuna nostalgia del passato e dell'idillio campestre in Croak Pi. Se è per questo non c'è nessuna concessione a una ideologia del "progresso". Croak Pi lentamente decade, il Salus per aquam che sorge a 10 chilometri dal villaggio perisce in un incendio e il castello medievale adiacente si consuma pezzo su pezzo come un ghiacciaio che rotola a valle. 

I personaggi, per parte loro, non producono grandi storie, né storie a lieto fine. Il romanzo li racconta alle prese con la loro scarsa capacità di vivere il tipo di vita che si sono prefissati di vivere. Dove l'unica cosa sensata che fanno sembra quella, ogni tanto, di ragionare su se stessi e sulle proprie scelte. Sono le classiche persone "mancate" della narrativa sveviana o pirandelliana? Si e no... perché c'è una certa "grandezza" nel loro modo inconcludente di tirare avanti.

Con Croak Pi, Pietro Cabrini prosegue il suo itinerario narrativo, iniziato con Vero quasi vero e con Il (suo) doppio. Ha scelto di non raccontare storie "vere", ma piuttosto storie metaforiche. E ha scelto di raccontarle con una lingua che  civetta con la lingua parlata o con il linguaggio giornalistico solo per discostarsene.

Una presa di posizione volutamente polemica nei confronti della narrativa di consumo, che organizza trame sempre più avvolgenti (e sempre però più banali) e mette in scena personaggi che non sono altro se non istigazioni ad identificarsi: col buono, con il brutto, con il cattivo.



l'autore da giovane