"La
realtà è viva, viva la realtà" titola il Corriere della Sera di domenica 21 dicembre (inserto La Lettura).
L'articolo è di
Paolo Di Stefano, il quale fa una onesta rassegna delle posizioni emergenti in Italia
(ma non solo) che invocano, per la letteratura, un ritorno alla realtà.
Tendenza non
nuova, lo sappiamo, che data, come precisa Di Stefano, dalla fine degli anni '90,
con il ritorno al reale di scrittori come Bettin, Onofri, Veronesi, Corrias (in questo l'articolista sposa, senza precisarlo però, la periodizzazione suggerita da Wu Ming 1).
Ci chiediamo solo perché Di Stefano, nello storicizzare questa ripresa di interesse per la realtà, non citi i giovani scrittori dell'inizio anni '90 che una distorcente istanza di marketing ha accomunato sotto l'etichetta di Cannibali. Rimossi, ripudiati, sconfessati? Eppure di realtà ce n'era a quintalate in quegli scrittori. Basterebbe pensare al loro padre letterario, cioè al Tondelli di Altri libertini (1980), che non si può certo spacciare per post moderno (inteso come occupatore di uno spazio prevalentemente manierista, metanarrativo, combinatorio, fantastico...). Certo, in quei romanzi non c'era la realtà giornalistica di Gomorra, che secondo una certa new age di critici e scrittori è il vero, unico, tanto atteso, spunto di svolta. C'era piuttosto il disagio di una certa gioventù perduta, che viveva e soffriva da punk a'bbestia anche quando frequentava il DAMS.
Neo-realismo?
Oibò no,
precisa Di Stefano. Il neorealismo rimanda ai padri fondatori, agli
intellettuali impegnati, di cui facciamo volentieri a meno ancora oggi che l'eco della polemica contro l'impegno
e la letteratura "naturalistica" scatenata dal Gruppo 63 ormai si è
spenta.
Caso mai
bisognerà parlare allora di letteratura-verità, parafrasando El Paìs, che di recente ha lanciato lo
slogan delle Novelas de verdad: i
libri più interessanti prendono ormai spunto dalla storia o dalla cronaca (persone
ben informate della Terra di Mezzo ci dicono che Truman Capote si sta
sbelicando dalle risa nella sua tomba).
Più che
documentare questa new age, Di Stefano è interessato a collocarla in un "luogo",
anche se questo nuovo realismo, che non è neorealismo, sfugge alle definizioni,
perché lambisce la cronaca e il reportage e si propone, più che come fiction, come faction (dall’ingl. faction composto
da fact ,
fatto, realtà’ e fiction, narrativa,
romanzo).
L'idea più
interessante, fra quelle citate da Di Stefano, è l'idea che nel mondo
letterario si stia prefigurando uno spazio
allargato, aperto a svariate combinazioni di realismo, autofiction, fiction,
faction e chi più ne ha più ne metta.
Ecco, qui ci
sentiamo meno perplessi.
Che ci sia
bisogno oggi di una nuovo modo di scrivere romanzi
(odiata e abusata parola, di cui non si riesce peraltro a fare a meno) è
incontrovertibile.
Che questo nuovo
modo prenda o non prenda ispirazione dalla realtà, ce ne potrà fregar di meno.
Che questo
nuovo modo si muova su territori di confine, inaugurando una nuova stagione
sperimentale all'insegna del METICCIATO... beh questo ci sfagiola già un po' di
più.
Ma questo ritorno al mestiere di scrivere (=inventare, sperimentare, lavorare sul testo, forzare i limiti del testo etc. etc.) non deluderà le aspettative di coloro (e sembra che siano tanti) che oggi, per avere qualche drizza, si
rivolgono alla faction?
Credo che a
metter le cose in questa maniera si rischia solo di incasinare tutto.
Cosa c'entra
la legittima esigenza della gente (me compreso) di capire cosa sta succedendo
in Italia e nel mondo con l'opzione per una letteratura più di realtà che di finzione?
Si spera
forse di riuscire a decodificare il presente quale ci viene riportato
quotidianamente dalla cronaca attraverso le pagine di un romanzo?
La cosiddetta
realtà, forse potremo cominciare a comprenderla un tantino di più smettendo di rinunciare all'opzione della storia, ovverosia al confronto con il
passato e con il lungo periodo. Inoltre potremmo trarre ispirazione da certi maestri, come Norberto Bobbio, che non si accontentavano della nuda cronaca.
Per quanto riguarda la letteratura, che anche quando è mimesis non è conoscenza del reale, perché
si possa tornare a trastullarsi con questo lussuoso giocattolo, che apre a una conoscenza di tipo sottile (esemplare Le onde di Virginia Woolf) occorre che gli animi siano
un po' meno angosciati.
Un'agorà
dominato dalla paura e dall'incertezza non giova al letterato, come non giova
al lettore.