maggio 23, 2016

LA LETTERATURA INTERROTTA







Ringrazio Lorenzo Leone per avermi segnalato questo saggio, finito di stampare nel mese di aprile del corrente anno. L'ho letto tutto d'un fiato, perché Ficara ha scelto di parlare di un argomento scottante, che peraltro ha appassionato negli ultimi anni tutti quei critici (militanti e non militanti), che si occupano di Novecento e di attualità letteraria (Berardinelli in testa): che fine ha fatto la letteratura italiana?
Posso dire, a lettura finita, di essere d'accordo con la tesi dell'autore, che peraltro Ficara ha l'abilità di sfumare con furbizia?
Procediamo per gradi...



Andrea Bajani, su la Repubblica (22 maggio) ha scritto, parlando del declino del libro: il libro rischia di estinguersi perché si è estinto il lettore, che ormai è tutto preso dai suoi troppi dada tecnologici. 
Superficiale, direi. Anch'io, come molti miei conoscenti, perdo tanto tempo dietro i dada tecnologici e i social. Ma non ho smesso per questo di leggere.
Ma cosa c'entra Bajani con Ficara?
C'entra, perché il nostro si pone lo stesso problema da una angolatura diversa. E cioè si chiede: per caso, in Italia, si è estinto il letterato? E, in tal caso, perché mai, in Italia, si è estinto il letterato?
(uso apposta la dicitura letterato, anziché quella più terra terra di scrittore o di romanziere, perché Ficara fa mostra di pensare che l'Italia abbia sempre avuto una tradizione letteraria decisamente alta. Fatta da letterati, per l'appunto, e non semplici scrittori).

Il saggio prende le mosse da una constatazione educata: fra contemporanei e moderni c'è una sostanziale discontinuità. Poteva dire con maggior schiettezza che la letteratura dei nostri giorni è letteratura di nani, se confrontata con quella del secolo breve. Ma Ficara sa benissimo che uno dei rischi che si corrono, quando, come lui, si è nati "prima" (prima del postmoderno, prima di Berlusconi, prima dei bestseller di Eco) è quella di rimpiangere e di mitizzare il passato. E perciò si guarda bene dall'essere tranchant.
Poi mette il piede più coraggiosamente nell'acqua e pronuncia un verdetto all'aceto: la letteratura corrente ha come suoi modelli i b-movies americani (film di serie B) e si è scordata la grande narrativa del '900 italiano (Svevo, Tozzi...).



Ma a quali scrittori pensa Ficara?
Beh, di nomi ne fa pochini e non sono particolarmente significativi: Melissa P., Ravera, Casati Modigliani, Brizzi, Camilleri, Faletti, Moccia, Saviano... 
Mi sono subito chiesto: perché il "povero" Brizzi e non, per esempio, la Santacroce? Io non ci vedo questa gran differenza e comunque siamo su un altro piano rispetto a Melissa P.
Ficara salva Tondelli? Sì, lo salva. Ma non si pronuncia su tanti recenti vincitori dello Strega (tranne Siti). E ignora totalmente il fenomeno dei Cannibali, che pure sono figlioli di Tondelli, come sono allievucci di Umberto Eco.
I Cannibali hanno segnato l'inizio della decadenza della nostra letteratura o sono stati il frutto tardivo delle avanguardie e delle neo avanguardie (Renato Barilli)? E in che angolino del cuore di Ficara si colloca un romanziere impegnato come Sebastiano Vassalli (morto da poco) che non è un Volponi, tanto caro a Luperini, ma è pur sempre un esponente della letteratura alta del '900?





Inutile aspettarsi pronunciamenti più circostanziati. Ficara svicola sui peccatori e preferisce concentrarsi sul peccato.
Peraltro, anche a proposito del peccato, la sua prudenza non gli consente di scavare a fondo.
Sarà che il suo mestiere non è quello del sociologo culturale, ma un Asor Rosa sarebbe stato molto più deciso di lui e forse (dico forse) ci avrebbe offerto qualche chiave di lettura in più. 

La riflessione che sorregge tutto il discorso di Ficara è la seguente. 


Si è creata indiscutibilmente da qualche tempo una discontinuità con la tradizione letteraria italiana (la letteratura interrotta) e questa discontinuità è testimoniata dal romanzo merce oggi in voga, che è caratterizzato da una atroce vuotezza. Alla radice di questo nouveau roman (ovviamente lo diciamo ironicamente) c'è un eccesso di informazione e di comunicazione e questo "plotting non cognitivo" ha preso il posto di quel "quid di verità" che il romanziere tradizionale, pur non rinunciando a divertire, offriva sempre ai suoi lettori.


L'abbiamo già detto, Ficara è sorprendentemente sfumato e morbido (a differenza, per esempio, di un Barilli). Di conseguenza, pur avendo un credo estetico che sorregge questa sua analisi del presente letterario (italiano e non solo), non si dilunga a teorizzare, anche se alla fine la sua tesi (di ascendenza adorniana?) la cogli lo stesso e ti rendi conto che in fondo la sua idea di letteratura è quella di un arte che sia rispecchiamento della vita.
C'era vita, buttiamola lì così, in Pasolini e in Gadda... c'è poca o nulla vita  nei romanzi italiani di oggi, che oltre a denotare una diffusa mancanza di stile, denotano anche una spiccata noncuranza morale. 
Insomma, sono dei falsi confezionati in modo per giunta sciatto e dozzinale (queste non sono parole sue).

Tutto qui? Macchè! Il saggio di Ficara è ricchissimo di spunti, di citazioni, di micro-saggi e forse il suo aspetto più pregevole non è l'analisi, che c'è e non c'è, del presente letterario, ma la paziente e affettuosa evocazione di tanti critici che sul tema si sono cimentati, nonché (anch'essa affettuosa e acuta) la disamina di scrittori di ieri e dell'altro ieri che in qualche modo Ficara considera esemplari.

Due elementi di insoddisfazione accompagnano la lettura di questo raffinato contributo: prima cosa, perché non è andato più a fondo nell'analisi del problema che ha così elegantemente evocato? Seconda cosa: perché ci ha consegnato, alla fine del saggio, la sua lista dei buoni (Gadda, Arbasino, Landolfi...) facendo finta di ignorare che ogni critico ha la sua lista dei buoni. Penso per esempio alla lista che Carla Benedetti compila polemicamente in Disumane lettere 2011 oppure all'ancora più selettiva lista che compila Andrea Cortellessa in Narratori degli anni zero, 2011.

E' legittimo che ogni critico abbia il suo Pantheon personale.  Ma il lettore sagace, da quei mediatori che sono i critici, si aspetterebbe delle santificazioni un po' più trasparenti.

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